Bruno carissimo VIVA!!!
[…]
finalmente la famosa serata de teatro!!!
Ti e mi.
a staltri i sta fora a scoltar e meditar_
e i mona i pol pure pensar a “die Kölner Schule”
perché la scuola tua venessiana la xé almeno
come quea dei Gabriei e di Monteverdi
e i sentirà, stavolta!
ostia, che ben!
La serata de “intolleranza 60” sarà gnente en confronto con quea nova tua e mia insieme nel ‘64 […]
E’ l’inizio di una lettera che Luigi Nono scrive a Bruno Maderna sul finire dell’estate del 1963. Poche parole che dicono molto di questi due compositori, oggettivamente tra i più importanti del Novecento.
C’è il desiderio fortissimo di fare (di nuovo) teatro, di praticare una dimensione comunicativa appena riscoperta e che negli anni precedenti la composizione musicale aveva consapevolmente rischiato di perdere, di bruciare in un radicale e utopico progetto di rifondazione del linguaggio musicale. E c’è il desiderio di collegare le novità a una tradizione remota e interrotta (la «scuola» veneziana dei Gabrieli e di Monteverdi), e quello di differenziarsi dall’«avanguardia». All’epoca Nono è a Venezia, come sempre; Maderna invece vive ormai da una decina d’anni in Germania, a Darmstadt, e scriversi in dialetto è un esercizio di nostalgia, rivolta a un passato molto recente di lavoro comune, di bottega. Ma è soprattutto enfasi, posta in modo del tutto privato, sulle comuni radici di una tradizione tutta locale che, in quel frangente, prende il senso di una rivendicazione.
Quella serata, però, che avrebbe dovuto consacrare il teatro della «nuova scuola veneziana» davanti alla platea internazionale della critica e dei compositori (così era il festival di Venezia cinquant’anni fa, un mondo trapassato…) – quella serata non si farà mai. Ci si avvicinerà appena, in quel settembre del 1964, e per modo di dire, con la prima dell’Hyperion di Maderna a pochi giorni di distanza da La fabbrica illuminata di Nono: rispettivamente una «lirica in forma di spettacolo», e una scena lirica per contralto e quattro altoparlanti, residuo di quell’opera mai compiuta che doveva chiamarsi Un diario italiano.
Di teatro desiderato, immaginato, tentato, abbozzato, incompiuto è costellata tutta la vicenda di Nono, in una misura forse superiore a ogni altro compositore del Novecento. Non si penserebbe di primo acchito a Nono come musicista per il teatro, eppure, anche se il catalogo delle sue opere sembra smentirlo, l’idea che l’invenzione musicale si compia davvero, in tutta la sua virtù comunicativa, sulla scena, è un motivo dominante del suo impulso creativo.
«Ancor più chiaro è ora in me il grande desiderio di scriver per il teatro – tu sai quali nuovi problemi esso implichi e bellissimi, soprattutto pensando alla larghezza di pubblico a cui esso è destinato e diffusione grandiosa».
Si potrebbe insomma «leggere» tutti gli anni cinquanta di Nono come un cammino che lo conduce a Intolleranza 1960, e non soltanto nei desiderata teatrali espliciti e rivolti a vari scrittori, tra cui Italo Calvino, ma anche nelle composizioni che non lo lascerebbero sospettare, come i Cori di Didone su testi di Ungaretti, che, scorrendo la corrispondenza, sembrano essere l’esito di un progetto lungamente discusso con il poeta, un lavoro teatrale sugli ultimi giorni di Anna Frank.
Ma è del tutto coerente che questi progetti incompiuti rimangano tali e si «riciclino» nella musica da concerto, facendo così di Nono, negli anni cinquanta, il più espressivo e «drammaturgico» dei giovani compositori dell’avanguardia. Nono intuiva, fin d’allora, che la musica non era destinata, comunque, ad «arrivare» a una scena – dovendosi poi adattare in modo più o meno conflittuale alle convenzioni del teatro – ma era destinata piuttosto a scardinarne la struttura, lo schema produttivo, molto più che la «forma»: e qui la stella polare di Nono è la coppia Piscator-Mejer’hold, il teatro, appunto, «totale», non certo una qualunque ipotesi contemporanea di «anti-teatro». Questa esigenza matura proprio con Intolleranza 1960, vero punto di svolta, addirittura meno per la musica che per tutte le implicazioni che faranno di questa esperienza un momento importante anche per tutto il teatro di parola italiano a venire.
(Fonti: Veneziamusica – Fondazione Luigi Nono)
Dal 18 gennaio al 5 febbraio al Teatro La Fenice l’opera “Intolleranza 1960”. Da un’idea di Angelo Maria Ripellino, su testi di Henri Alleg, Bertolt Brecht, Paul Eluard, Julius FucÃk, Vladimir Majakovskij, Angelo Maria Ripellino e Jean-Paul Sartre, musica di Luigi Nono, prima rappresentazione assoluta: Venezia, Teatro La Fenice, 13 aprile 1961.